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14/07/2019 DOMENICA Il Sole 24 Ore Il Sole 24 Ore domenica 14 LUGLIO 2019 Bartol de Cavalls. Suo il manoscritto che inaugura la letteratura valenciana Il gran copista che trafficava formaggi Lorenzo Tomasin Bartol de Cavalls è un personaggio ben noto ai pochi, ma qualificati conoscitori della letteratura catalana medievale: è il copista che nel 1395 allestisce l’elegante copia manoscritta del volgarizzamento dei Fatti e detti memorabili di Valerio Massimo, tradotti nella lingua di Valencia dal monaco Antoni Canals. L’opera, dedicata al Consiglio cittadino di Barcellona, fu consegnata solennemente dallo stesso amanuense ai barcellonesi su incarico del cardinale Giacomo d’Aragona. In quel testo, che traduce il dettato di un classico della letteratura latina, si riconosce l’atto di nascita della letteratura in lingua valenciana (una parlata della famiglia linguistica catalana). La vicenda della consegna del codice è narrata nel manoscritto stesso, in una sorta di premessa aggiunta per cura dei barcellonesi al prezioso manufatto miniato e decorato, che oggi si trova all’Archivio storico della capitale catalana. Fino a oggi, la sola testimonianza disponibile sul copista Bartol era appunto quel codice, a cui non s’accompagnano altri libri manoscritti a lui attribuibili con certezza. È quindi un puro caso se, a molte centinaia di chilometri da Valencia, cioè a Prato in Toscana, si sono conservate alcune decine di lettere private che lo stesso Bartol scrisse nell’esercizio di una funzione ben diversa da quella di copista di lusso: lettere che documentano d’una attività mercantile di trafficante di formaggi, fideus (i tipici vermicelli valenciani) e d’altre merci varie (tra le quali, occasionalmente, anche qualche schiavo!), che Bartol svolgeva tra Valencia e le Baleari nel primi anni del Quattrocento. Un secondo mestiere, per un uomo cui l’artigianato della penna non rendeva forse abbastanza. Bartol cerca di scrivere le sue lettere in italiano, perché si rivolge a membri della compagnia commerciale toscana dei Datini, attivissima in quel quadrante mediterraneo; esse si sono conservate nell’enorme giacimento dell’Archivio di Stato di Prato, che custodisce – e cataloga e digitalizza con uno zelo degno delle migliori istituzioni culturali – le oltre centoquarantamila (!) lettere commerciali lasciate da Francesco di Marco Datini (1335-1410), uno dei più grandi mercanti del Medioevo. A rendere particolarmente interessanti le lettere di Bartol alla compagnia Datini non è solo la loro lingua, un italiano saturo d’elementi catalani che il copista-mercante https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20190714&edition=SOLE&startpage=1&displaypages=1 1/2 14/07/2019 Il Sole 24 Ore apprese sul campo, parlando con i mercanti italiani conosciuti nei suoi traffici catalano-balearici: si tratta insomma di uno degli episodi più rilevanti dell’intenso contatto linguistico italo-catalano tipico di quell’epoca. Notevole è anche il contenuto dei testi, in cui Bartol non parla solo di merci spedite, ricevute o perdute (come capita per una partita di formaggi andata a male per il caldo), ma anche dei suoi casi privati: della sua famiglia, ad esempio, e in particolare di un figlio Lorenzo che lo fa ammattire dandogli a credere di trovarsi a Venezia per commerciare, e non – com’egli apprende dai suoi corrispondenti – a Maiorca a fare la bella vita (già allora!). Quel taccagno (così lo chiama, usando un tipico termine iberico che solo più tardi si diffonderà anche in italiano) gli procura continui grattacapi («se lo tachagno no volesse star fermo e no volesse obedir ay vostri comandamenti, lexats-lo andare a la mala ventura», scrive a un corrispondente che tenta di fargli mettere la testa a posto). Un profondo dolore è poi quello che gli dà una schiava – e forse concubina – morta di parto, per cui egli confessa un amore disperato («yo ve promet che may no aguí tanta de dolor de pare ni de mare quanta yo he haguda de la mort de questa fembra», cioè ’questa femmina’). Nelle sue lettere, Bartol parla ovviamente anche della propria attività parallela di copista (al servizio, tra gli altri, dello stesso Re di Aragona), e addirittura delle sue penne preferite, quelle di cigno che si comprano nella Piazza del Pane a Maiorca, di cui commissiona un ingente acquisto: migliori, scrive, persino delle pregiate penne fiamminghe («millor che no sono aquelle che venen de Flandres»). Non è frequente, anzi è molto raro, che un copista medievale ci faccia conoscere con tanta indiscrezione i retroscena del suo lavoro: grazie al fortuito ritrovamento delle lettere, essi spuntano qui assieme a quelli, non meno reali e tanto più intensi, di una vita vera e finora ignota vissuta sulle sponde del Mediterraneo durante l’autunno del Medioevo. Le lettere di Bartol de Cavalls, presentate nel fascicolo 41 (2019) della rivista catalana «Estudis romànics», saranno pubblicate per intero nel fascicolo 41 (2020). © RIPRODUZIONE RISERVATA https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20190714&edition=SOLE&startpage=1&displaypages=1 2/2